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Di Daniel Tanuro
Il patto Trump-Putin mira alla spartizione dell’Europa e all’imposizione di regimi autoritari, all’insegna di politiche di austerità, reazionari e guerrafondai nelle rispettive zone di influenza.
A breve termine, questo piano implica lo schiacciamento del popolo ucraino a Est e ad Ovest il sostegno ai partiti trumpisti, nazionalisti e sovranisti di estrema destra. Trump e Putin puntano entrambi sulla frammentazione della società e alla disintegrazione europea.
Inoltre, i due despoti perseguono i propri obiettivi: separare la Russia dalla Cina da una parte, riportare la Russia entro i confini dell’impero zarista per l’altra. Come era avvenuto con il patto di spartizione della Polonia tra Hitler e Stalin, sono probabili dei cambiamenti, a seconda dei rapporti di forza, con nuove minacce di guerra.
In ogni caso, da ora in poi, il patto tra Trump e Putin mette in crisi profonda il progetto borghese concepito nel dopoguerra: la costruzione di un’Unione Europea ultraliberale, alleata privilegiata dell’imperialismo statunitense e pilastro europeo della NATO. Ma è proprio attraverso questo che la borghesia europea ha cercato di imporsi come uno dei principali protagonisti della lotta concorrenziale per l’egemonia capitalista mondiale.
Ora che il suo progetto è minacciato di fallimento, la classe dominante europea sta elaborando in fretta e furia una risposta ancora più completamente allineata agli interessi del grande capitale. Il patto Mosca-Washington funge da acceleratore: rimilitarizzazione a tutto spiano, più austerità, più regali ai padroni, messa in discussione delle misure ecologiche già del tutto insufficienti, inasprimento delle vergognose politiche di respingimento dei migranti… Senza dimenticare le sottomissioni a Trump, nella speranza di condividere la torta ucraina della “ricostruzione”.
Quando si tratta di dare al popolo ucraino i mezzi necessari per la sua legittima difesa, i governi europei sono riluttanti. Quando si tratta di produrre armi per la “potenza europea”, nulla li ferma. Il dogma del pareggio di bilancio, improvvisamente, non si applica più… tranne che per “giustificare” l’austerità, la repressione delle libertà e la distruzione ecologica, che continuano a pieno ritmo.
La “difesa dell’Ucraina” serve da pretesto. In realtà, sono tre anni che i leader dell’UE frenano il sostegno a Kiev. Da un lato, nonostante tutto, il popolo ucraino resiste eroicamente. Dall’altro, la Russia è esausta per le enormi perdite di uomini e materiali. Se l’Ucraina dovesse cadere, la Moldavia e la Georgia saranno nel mirino. Ma, al di là di questo, Putin punta sulla decomposizione politica molto più che sulla conquista militare per aumentare il suo potere. L’idea che le sue armate si stiano preparando a invadere l’Europa occidentale è pura manipolazione.
Nelle attuali condizioni, la messa a disposizione da parte dell’UE dei suoi mezzi militari esistenti, la cancellazione del debito ucraino, il trasferimento a Kiev dei 200 miliardi di fondi russi congelati, uno speciale prelievo sui grandi patrimoni, il sostegno della società civile e una vasta mobilitazione internazionalista di massa per la democrazia e la pace (attraverso lo scioglimento di tutti i blocchi militari e il rispetto dei confini) creerebbero la possibilità di destabilizzare il neofascismo poutiniano. Di conseguenza, si aprirebbe un’altra prospettiva per il continente e per il mondo.
In ogni caso, non c’è nulla da aspettarsi da un’Unione europea non democratica, che sostiene il genocidio di Netanyahu contro il popolo palestinese, provoca ogni anno la morte in mare di migliaia di migranti, impone scambi iniqui ai paesi della periferia e si definisce “un’economia di mercato aperta dove la concorrenza è libera”. La “politica di difesa” di questa UE non può che essere una politica di difesa degli interessi capitalisti, a spese dei lavoratori, dei giovani, delle donne , dei popoli oppressi e del pianeta.
Se vogliono rifiutare di essere trascinati nella lotta tra Stati Uniti e Cina per l’egemonia mondiale, con la Russia come perno, se vogliono essere artefici della loro storia comune, i popoli del vecchio continente non hanno altra scelta che unire i loro movimenti sociali e i loro sindacati nella lotta per un altro Europa, democratica, sociale, aperta, generosa, ecosocialista.
• Un’Europa che metta il grande capitale al suo posto socializzando la finanza, l’energia, l’industria degli armamenti e altri settori chiave;
• Un’Europa che aumenti i salari, sviluppi la sicurezza sociale, rafforzi i servizi pubblici, combatta le disuguaglianze, elimini la povertà;
• Un’Europa che prenda i soldi dove sono per finanziare una transizione ecologica degna di questo nome, senza combustibili fossili, senza nucleare, senza tecnologie di maghi apprendisti e senza agrobusiness;
• Un’Europa che cancelli i debiti dei paesi del Sud, rinunci alla rapina neocoloniale e condivida le scoperte indispensabili per la decarbonizzazione dell’economia;
• Un’Europa in cui le classi popolari avranno a cuore di assicurare da sole la difesa in caso di necessità, dove la coscrizione sostituisca gli eserciti di mestiere.
Il percorso verso la fondazione di questa Europa è politico: passa attraverso la lotta contro il ripiegamento nazionale e la mobilitazione per l’elezione di un’assemblea costituente europea.
È urgente. L’Europa e il mondo sono al crocevia della storia. I diritti democratici e sociali sono nati in Europa nel XIX° e XX° secolo dalla lotta del mondo del lavoro contro lo sfruttamento capitalista. È il loro destino ad essere in gioco, su un pianeta in fiamme che i despoti sognano di sottomettere al diktat senza limiti del capitale.
*articolo apparso su Gauche anticapitaliste (Belgio)