Edizioni Karl&Rosa

Gli algoritmi non hanno vita propria

Gli algoritmi non hanno vita propria

Di Raul Zibechi

Le telecamere di sorveglianza con riconoscimento facciale insieme ai telefoni cellulari costruiscono un sistema di controllo dei minimi atteggiamenti di tutte le persone ovunque arrivi Internet. Il primo problema sottovalutato dell’intelligenza artificiale, al momento, non è il fatto che si trova sempre meno nelle mani degli umani, ma che si tratta di un gigantesco sistema di sorveglianza che nessun regime totalitario ha mai avuto. Inoltre, quando utilizziamo l’IA non dovremmo mai dimenticare che gli algoritmi non hanno vita propria, ma sono stati creati dal sistema per migliorare i suoi profitti, approfondendo il controllo delle nostre menti, in fondo la storia del capitalismo, pensiamo al Taylorismo e al Fordismo, è proprio questa. Una cosa è certa, dice Raúl Zibechi, “emergeranno forme di controllo nuove e più sofisticate, perché chi sta in basso trova sempre il modo di resistere e superare in astuzia chi sta in alto…”

La diffusione dell’intelligenza artificiale (AI) e la naturalizzazione dei suoi risultati non vanno di pari passo con la comprensione dei suoi meccanismi, di chi la promuove, con quali interessi e obiettivi. Se non facciamo questo esercizio, saremo vittime passive in modi che non conosciamo.

In una recente intervistalo storico e filosofo Yuval Harari sostiene che l’intelligenza artificiale consente “una sorveglianza totale che pone fine a ogni libertà”. Egli avverte che la capacità di sorveglianza supera di gran lunga quella di qualsiasi dittatura o regime totalitario, poiché attraverso telecamere di sorveglianza con capacità di riconoscimento facciale e telefoni cellulari, si ha la capacità di controllare i minimi atteggiamenti di tutte le persone ovunque arrivi Internet.

Personalmente ho verificato che mi inviano pubblicità di prodotti o marchi di cui sto parlando con la mia famiglia e i miei amici, quasi immediatamente. Sappiamo che l’intelligenza artificiale ci consente di ascoltare qualsiasi conversazione, non importa quanto intima, e ogni movimento e comunicazione che facciamo tramite i telefoni cellulari.

Harari dice che “l’intelligenza artificiale è diversa da qualsiasi tecnologia inventata in precedenza”, perché a differenza delle tecnologie precedenti, non è nelle mani degli esseri umani né è uno strumento che deve essere attivato dalle persone, ma piuttosto “un agente indipendente” che ha la capacità di prendere le proprie decisioni “da solo”. Sostiene che nei media, che “costituiscono la base di una democrazia su larga scala”, non sono più gli editori a prendere le decisioni editoriali, ma piuttosto “sono gli algoritmi a decidere quale dovrebbe essere la storia consigliata”.

Pubblicato la La Jornada, traduzione di Comune-info.net

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